Iniziamo dagli intrusi in territorio molisano, i casertani del birrifio
Karma: con loro a quanto pare non condividiamo solo il Matese, ma anche il
gusto per la buona birra; premetto che non potevo assaggiare tutte le
birre dell'evento per varii ovvii motivi, così ho iniziato dalla loro Golden Ale, Marilyn: è bellissima lei, guardate che bei merletti di Bruxelles
nonostante l'ingiusto bicchierone di plastica, con una schiuma
compatta, ma un po' evenescente ed il suo colore che rende giustizia
alla tipologia, al naso la bionda è timida e si presenta solo con note
maltate e leggermente erbacee; la bevuta è davvero soddisfacente con un
attacco carbonato che disseta, un corpo quasi inconsistente che
accarezza il palato ed un amaro (forse troppo, anche se su carta fa "solo" 28 IBU)
che asciuga la bevuta.
Okay, la foto è uscita male, non rende giustizia.
Proseguiamo con il microbirrificio Kashmir di Filignano (Isernia), di cui recensii tempo fa la Nuit Blanche, che non mi colpì esageratamente, ma mi stupì in positivo! Ebbene, loro si son presentati con solo una loro birra, una Pilsner, che non ha replicato la buona performance della Nuit Blanche, risultando sì equilibrata al gusto in fatto di rapporto luppolatora/malti e persistenza gustativa, ma dopo "l'erboso" dovuto ai luppoli del primo assaggio, la birra si spegne in una nota stonata che sa di cartone (ricorda molto vagamente la genziana) e la carbonatura forse troppo blanda per una pilsner non fa che esaltare dopo più bevute questa "stonatura": è perfetta all'aspetto, forse troppo evanescente la schiuma, ma per questa tipologia ci può stare e non sto qui a criticarne l'aroma quasi inesistente ,perchè è un difetto che ho notato in tutte le birre presentate all'evento, credo sia in parte dovuto al bicchiere di plastica, in parte al fatto che tutte queste birre sono state portate alla spina ed in bottiglia presenterebbero un bouquet più deciso.
Intermezzo campobassano con la San Michele da "le birre del Mistero", microbirrificio campobassano con sede a Ferrazzano nato da poco, infatti presenta in catalogo credo solo due birre; la San Michele è una belgian strong Ale e presenta tutte le caratteristiche di un prodotto particolare, che nel bene e nel male, deve ancora perfezionarsi: è decisa sotto ogni punto di vista, è una birra, permettetemelo, "adolescente", ha infatti un aspetto vitale, con una schiuma pannosa ed un bel colorito dorato torbido tipico dello stile, al naso forti note maltate e di lievito che non ben si armonizzano (ve l'ho detto, è una adolescente in esplosione ormonale) e al gusto ha quella carbonatura dissetante, ma che non riesce a frenare il lievito "spumeggiante" che scalpita per farsi sentire, ha infatti quello "strascico" sgradevole di una birra il cui lievito è tra i più difficili da maneggiare ed amalgamare armoniosamente tra i sapori dei luppoli speziati e dei malti, lavoro svolto egregiamente dai migliori mastribirrai del Belgio, ma che giustamente richiede un po' di pratica a chi è nuovo del mestiere: va premiato il coraggio e l'intraprendenza di questi conterranei e credo che se continuano così, sarò ancora più felice di tornare a bemie una pinta artigianale in terra natia.
Concludo con la Hellfeld, una adorabile blanche del Birrificio del Volturno: questa volta la foto rende piena giustizia alla bimba che già dall'aspetto svela la sua particolarità, ovvero il suo essere una quasi-blanche; la Hellfeld su carta è una birra bianca, ma nei fatti è una birra con caratteristiche miste Golden Ale/Blanche:il colore non troppo paglierino e più tendente all'arancione, un bouquet timido (per il solito discorso), ma caratterizzato da un profumo di agrumi e coriandolo e la freschezza della bevuta agrumata, morbida, con una luppolatura scarsa, ma forse troppo decisa per una Blanche, la rendono, consapevolmente o no, una ottima birra, ma non certamente una canonica bianca... Il che è decisamente un pregio per la personalità di questo prodotto.
Dopo queste fantastiche bevute, vi dirò la verità, ho bevuto ancora, ma per onestà non mi son messo ad appuntare niente per via dell'evidente compromissione delle mie capacità di giudizio... Mi farò perdonare dai due ottimi birrifici rimasti fuori da questa lista di recensioni lampo, Cantaloop e la Fucina, recensendoli singolarmente appena ne avrò l'occasione... nel frattempo buona fine d'estate e buone birrae a tutti!
Anche se è solo da poco più di tre anni che mi sono immerso pienamente nel mondo della birra artigianale, riesco a percepire chiaramente quanto questo mondo si stia facendo sempre più strada anche in Italia e, al di là della sensibilità soggettiva, vi sono indicatori oggettivi a testimonianza di questa esplosione della birra artigianale nel nostro paese, l'evento Birrae è uno di questi.
Quando mi è capitato tra le mani, durante una routinaria passeggiata in Corso Vittorio Emanuele, un volantino con una grafica accattivante (quella minimalista qui sopra) dal titolo "birrae", pensavo si trattasse dell'apertura di qualche nuovo Pub, poi il sottotitolo a chiarirmi le idee: Birre artigianali e industriali, due mondi a confronto - 28-29 Agosto... lì è subito partito il luccichio di occhi che mi ha preparato alla vera gioia stampata in fondo a quel piacevolissimo a6 plastificato: "Campobasso, Piazza Palombo". Il non-campobassano potrà non-capire l'emozione appena ostentata, ma un evento sulla birra artigianale a Campobasso, perbacco (no, non loro) non me lo sarei mai aspettato in tempi così brevi: ecco, la cultura della birra artigianale, e spero non la momentanea moda, è giunta nel non-luogo per eccellenza.
Per iniziare è doveroso dire che l'evento è stato organizzato da Hops Up!, dallo Zeppelin Pub, dall'associazione Mu.Se, con il patrocinio del Comune di Campobasso - Assessorato alle attività Produttive - Assessorato alla cultura, ed è anche giusto dire subito che il 28 c'è stata la giornata dedicata alla birra artigianale vera e propria, mentre il 29 si è svolta una festa in stile bavarese.
Io sono molto legato a Piazzetta Palombo, ho passato lì quasi tutte le mie estati liceali facendo del sano mutualismo col mio sindacato studentesco preferito, e vederla così inghirlandata e imbandierata di spillatori ed effigi di birrifici locali è stata una piacevole sensazione che non voglio ancora scrollarmi di dosso, ma bando alla ciance nostalgiche ed intimiste.
All'evento hanno partecipato: Birrificio del Volturno, Karma, Kashmir, La Fucina, Le birre del Mistero e CantaLoop, tutti con solo alcuni dei loro prodotti alla spina, posizionati sul perimetro della Piazzetta con i loro spillatori, aspettando di ricevere un bigliettino acquistato a 3€ alla cassa in un angolino della Piazza , pronti a donarti il paradiso una 0,3 alla volta; in un altro angolino c'era, se non sbaglio si chiama Andrea (del neonato "microbirrificio del Mistero") a fare una cotta dimostrativa da 15 litri di una bitter, spiegando da buon alchimista, i segreti (ma non tutti) dell'arte ai non iniziati.
Al centro della piazzetta c'erano delle panche e dei tavoli per ovvii motivi e ad un estremo della piazza un improbabile furgoncino volkswagen giallo a diffondere musica di vario genere (ma soprattuto classici del rock per accontentare un po' tutti) e ad allietare la sbornia artigianale che pian piano si faceva spazio nei corpi e nelle menti dei presenti, che potevano allietare lo stomaco con pietanze varie: l'evento è riuscitissimo e questo lo rende il primo di una lunga serie, per la nostra
felicità e contro la nostra sobrietà.
Qui interrompo la prima parte di questo speciale dedicata all'evento, poiché voglio scrivere un altro post solo sulla degustazione di 4 birre assaggiate in loco, che non avranno certo la "dignità" di una degustazione singola per varii motivi, ma su cui voglio spendere qualche parola in più e farlo qui renderebbe il post impopriamente prolisso.
Nome birra: Hopus Birrificio:Brasserie Lefebvre Tipologia:Belgian Strong Ale Nazione:Belgio Gradazione alcolica:8.3% Tipo di fermentazione: Alta
Esame Visivo: Come si vede dalla foto qui di lato, la schiuma dal colore bianco intenso resta piacevolmente "spalmata" ai bordi del bicchiere a garanzia di un ottimo prodotto prima ancora della prova gustativa; il colore paglierino e la torbidezza sono lì come un abitino firmato Belgio. Voto: 4/5
Esame Olfattivo: La Hopus non è molto complessa al naso: gli aromi prevalenti sono quelli dei luppoli (quattro ne sono stati utilizzati) accompagnati da note speziate particolarmente "erbose". Voto: 2/5
Esame Gustativo: Decisa all'inizio con il sapore di malti e la frizzantezza che aprono la strada ad una bevuta piena, caratterizzata, come potevasi intuire, da una luppolatura violenta ma addolcita dai tipici retrogusti fruttati dei lieviti belga, è una birra che rischia però di stancare se non accompagnata da cibo. Voto: 3/5
La Hopus, parto del birrificio Lefebvre definibile ormai storico (in attività dal 1876), è quella che definirei, tralasciando ogni galanteria sessita, una birra "maschia": un interessante punto di incontro tra una belgian strong ale, una tripel ed una ipa, non mi ha convinto sotto tanti aspetti, ma sicuramente è una delle birre che prenderei in considerazione se volessi lentamente scivolare in un tunnel alcolico tra amici ad una cena. Brutus, amarus flavusque. Voto Finale: 7.5/10
Nome birra:EBE Birrificio:I Due Mastri Tipologia: Blonde Ale Nazione:Italia (prato) Gradazione alcolica:4,5 % Tipo di fermentazione:Alta
No, questa EBE non mi ha convinto, sarà il caldo (il troppo caldo) che rende più esigenti, ma per quanto questa birra sia ben fatta sotto alcuni punti di vista, nel complesso lascia proprio a desiderare.
Il colore ci sta: un dorato scuro, quasi da Kellerbier, una schiumetta timida, ma non ce l'aspettavamo sfrontata; sul sito del birrificio vantano l'aggiunta di coriandolo e arancia amara, ebbene, al naso un pochino si sentono queste aggiunte, ma alla bevuta c'è solo una nota agrumata che non rende effettivamente più dissetante questa EBE che, pur avendo un buon equilibrio tra malti e luppoli, sembra un Pale Ale uscita un po' maluccio...
Mi sto convincendo che in Toscana le birre non le sappiano tanto fare, ma non mi stancherò mai di dare un'altra chance, a qualsiasi birra... 5.5/10
Nome birra:La Ghenga Birrificio:L'Olmaia Tipologia: Amber Ale Nazione:Italia Gradazione alcolica:6,5 % Tipo di fermentazione:Alta
Esame Visivo: La Ghenga è fantastica alla vista: color ambrato uniforme e abbastanza trasparente dal lasciar ben vedere le bollicine che risalgono il bicchiere e si perdono nella cremosa e persistente schiuma color nocciola. 5/5
Esame Olfattivo: Qui la passione appena accesasi alla vista di questa rossa senese comincia a vacillare.
Non ci si aspetta granchè da questo genere di birre all'olfatto, e così è, ma senza personalità:l'aroma principale è quello di malto d'orzo, incorniciato da un timido aroma floreale di luppoli che si mescola ad un'altrettanto timida nota agrumata. 3/5
Esame Gustativo: La nostra subitanea passione è spenta, siamo costretti a concedere una leggere simpatia a questa Ghenga: la bevuta è piacevole e come l'aroma, anche il gusto è dominato dai malti che danno alla birra un corpo presente, ma sempre sfuggente, perchè ucciso sul nascere dall'erboso e lieve amarognolo dei luppoli che uccidono sul nascere la bevuta.
Voto: 2/5
Se non avesse tante concorrenti che nella stessa tipologia offrono a parità (o anche inferiorità) di prezzo una soddisfazione maggiore, La Ghenga, con il suo pregio di essere una simpaticissima birra "beverina" priva quasi di persistenza gustativa, sarebbe un'ottima scelta per le serate in cui la birra accompagna senza troppo presenza un ozio meritato.
Voto Finale: 6.5/10
Una piccola curiosità tratta dalla scritta in etichetta: La parola "Ghenga" (e a volte, sua sorella "Ganga", meno conosciuta) viene dall'inglese... "Gang", termine inglese che sin dal 1632 significa "squada di operai" e che nel XIX secolo attraversò la Manica e poi l'Italia settentrionale, per giungere finalmente in terra di Toscana. Così viene usata fin dal 1940, quando un nuovo significato arrivò da Oltreoceano: i gangster storici d'america cambiarono il modo di intendere la Ghenga, che rischiò di diventare sinonimo di malavita organizzata. Eppure gangster esisteva in Italia sin dal secolo scorso, e fu per questo che il termine Ghenga si burlò delle maleffate e riuscì a mantenere una sua connotazione tutta toscana. Più vicina alla "combriccola" o "cricca" la Ghenga si distingue per la sua atmosfera scherzosa e canzonatoria, sempre pronta ad elaborare burle e tiri mancini.
Nome birra: Très Jolie Birrificio:Brasserie du Bocq Tipologia:Belgian Blonde Ale Nazione:Belgio Gradazione alcolica: 6,0 % Tipo di fermentazione: Alta
La Très Jolie la si può trovare tranquillamente in ipermercati e altri magazzini (però sul sito della Brasserie du Bocq non l'o trovata (?)), con quella sua etichetta pastorale è una di quelle birre che rimane alla memoria come un piacevole ed anonimo pomeriggio di un'estate passata.
A vederla è quasi la perfezione: schiuma bianca, pannosa e cremosa che muore lentamente sulle pareti interne del bicchiere; dorata/ambrata e leggermente torbida, ma non abbastanza da offuscare la vista delle bollicine vivaci e del paesaggiooltre il bicchiere. Vista: 4/5
Un profumo senza pretese, ma perfettamente bilanciato tra i luppoli, i malti ed una cornice agrumata dovuto non so se agli esteri del lievito o ad una precisa aggiunta in fase di produzione. Olfatto: 3/5
E qui si spegne in un riposino estivo questo pomeriggio soleggiato: la bevuta è piacevole sotto tanti punti di vista, ma dopo aver gustato la leggera frizzantezza che elimina definitivamente ogni nota alcolica, il sapore intenso, ma non devastante dei malti che donano alla birra un corpo rotondo e pieno, ed il timido amaro di luppoli umili, della nostra Jolie resta un ricordo dissetante, ma già lontano. Gusto: 3/5
La Très Jolie è una birra onesta, si lascia accostare con ogni cibo proprio per l'assenza di caratteri dominanti o particolari e la tendenza a dissetare senza pretese durante i pasti: se la trovate ad un buon prezzo, fatela vostra e poi dimenticatela.
Nome birra: Tripel Karmeliet Birrificio:Bosteels Brewery Tipologia:Tripel Belga Nazione:Belgio Gradazione alcolica:8,4 % Tipo di fermentazione: Alta
Ho deciso che non mi dilungherò in descrizione tecniche e finezze di vario genere quando si tratta di classiconi come questi. La Tripel Karmeliet! Un classicone dal 1996, dicevamo: il modello perfetto del suo genere, tre malti che hanno trovato la loro alchimia in questo nettare ormai cristallizzato dall'esperienza dei mastri birrai belgi che si sonoispiratialla ricetta del 1679 dei Carmelitani (ma lasciamo questa cosa nella leggenda).
Dorata e tendenzialmente opaca, timide bollicine la separano dalla sua corona di schiuma pannosa e persistente; al naso è come te la aspetti, non esageratamente elaborata, prevale l'aroma dei malti e del luppolo con note di vaniglia e -mi è sembrato- mela, ma tutto passa in secondo piano quando la si beve e si gusta questa birra "maschia" (lo so, perdonatemi il sessismo) che non ha bisogno di grande attenzione per essere goduta, perché la gradevole frizzantezza che accompagna la bevuta e trasporta l'intenso gusto dei malti che viene spolverato da una nota acidula agrumata e ripulito da luppoli usati prevalentemente per asciugare la bocca nel modo tipicamente belga, non richiede palati allenati per essere apprezzata.
Tutti hanno detto qualcosa su questa birra, perciò, se non l'avete bevuta fatelo, che fortunatamente si trova un po' ovunque, anche alla spina.
Save the Green Planet! / Jigureul Jikyeora!
di Jang Joon-Hwan Corea del Sud - 2003 Crossover, Drammatico
La Corea del Sud è quel luogo dove si incontra l'Occidente più capitalista con l'Oriente più tradizionale, dove vengono sfornate continuamente piccoli gioiellini cinematografici: non è la Cina con le sue ampie difese culturali e retroterra storici posti a bastione di difesa dell'identità di un popolo oppure il Giappone lanciato nel capitalismo più sfrenato in un modo tutto suo...
Chi mastica un po' la cinematografia coreana sa che di solito da quei film ne esce una Corea sempre dilaniata, in cui duri gangster in abiti americani, finiscono per seguire fino alla morte un'onore ed una morale del tutto estranea alla mentalità Occidentale cui sembrano esteticamente appartenere, oppure in cui individui soli e disperati vengono condotti alla follia da una società darwinista in cui chi rimane indietro è finito.
Save The Green Planet! ha ormai la sua decina d'anni, ma condensa tutti questi aspetti dentro una camicia a toppe, composta da pezzi provenienti da ogni angolo cinematografico, cuciniti insieme in modo eccentrico, stilisticamente non perfetto, ma adatti all'indossatore.
Su-ni, una donna di cuore, decisamente.
Lee Byeong-gu (Shin Ha-kyun), il protagonista del film è un ragazzo solo e disperato, un reietto della società, figlio di un minatore, morto in miniera, e di una madre tenuta in vita dalle macchine, a causa dell'avvelenamento sul lavoro, che isolato in un contesto di vita alienante, per sopravvivere crea il suo mondo al limite tra la follia cosciente e l'eroismo deviato, che lo porterà attraverso una vendetta catartica e... Basta, in realtà detta così la storia è lineare, e di solito i film coreani hanno una storia linea, quindi non vado oltre.
Save the Green Planet! racchiude un po' tutte le caratteristiche del moderno cinema coreano, dotato di ironia macabra, splatter ed esplosioni di sentimenti, che sicuramente il pubblico occidentale più mainstream abituato alla coerenza stilistica, emotiva e contenutistica dei nostri film farà storcere il naso, ma qui Jang Joon-Hwan, il regista, si appropria di canoni estetici che hanno fatto la fortuna di registi come Quentin Tarantino e gli da nuova linfa vitale, facendo attraversare al film generi come il noir, lo sci-fi, il melodramma e la commedia, per farci entrate in modo completo nella testa di un individuo che non può semplicemente essere condannato o giustificato, ma a cui vanno le simpatie dello spettatore e del regista, che spezza una lancia a favore di Lee Byeong-gu nel finale fantascientifico del film.
Save The Green Planet! scontato forse nell'intreccio generale, ma ricco di colpi di scena e di pathos nei momenti e nei modi più inaspettati, è un altro piccolo gioiellino del cinema coreano, che regala citazioni (2001 odissea nello spazio e They Live su tutti) senza mai essere scontato o peccare di superiorità, proponendoci una prospettiva nuova e interessante sul modo di fare cinema che noi
occidentali abbiamo cresciuto e poi abbandonato a se stesso.